L’Oasi di Seu

Una macchia verde, sulla tavolozza gialla del Sinis, che confina con l’azzurro del mare. Così appare dall’alto l’Oasi di Seu e così, probabilmente, la vedono i tanti uccelli che popolano questa bella e poco conosciuta parte di Sardegna. Ci troviamo nel territorio del Comune di Cabras, tra la grande spiaggia di Maimoni e l’insediamento di Funtana Meiga. Qui si estende per la lunghezza di circa un chilometro una delle aree più interessanti della costa oristanese, un luogo di grande varietà naturalistica e di grande interesse storico e culturale. Qui è possibile trovare spiagge di quarzo e sentieri immersi nella macchia mediterranea, falesie, scogli e isolotti. E ancora: resti nuragici, una torre spagnola, un relitto sommerso, ma anche volpi, pernici, conigli e tartarughe che, nascoste tra i cespugli, guardano verso il mare. In questi 115 ettari di oasi naturalistica, in passato frequentata anche dai nuragici, dai fenici e dai romani, è possibile fare passeggiate a piedi, escursioni in mountain bike o a cavallo, snorkeling e immersioni. Oppure semplicemente rilassarsi ammirando il paesaggio, tra la brezza marina e i tipici profumi della macchia mediterranea.

COME ARRIVARE A SEU: Da Cabras o Torregrande percorrere la strada per San Giovanni-Tharros e voltare a destra (attenzione al cartello) per Maimoni-Seu, lungo una strada bianca e molto polverosa. Dopo qualche minuto si arriva a un bivio segnalato da un cartello: è una delle entrate dell’oasi. L’inizio del percorso è segnalato da un cancello. Qualche metro più avanti si trova l’area parcheggio o, poco più avanti, il Centro esperienze di Seu, dell’Area marina protetta. E’ possibile entrare nell’oasi anche dal vicino villaggio di Funtana Meiga. Google Map

LA STORIA – Quella che oggi appare come una tranquilla e isolata oasi per piante e animali, è sempre stata un’area frequentata dagli esseri umani, si pensa fin dai tempi dei nuragici. Si stabilirono qui sia i fenici che i cartaginesi. La breve distanza da quella che oggi conosciamo come la penisola del Sinis probabilmente ne fece il luogo ideale per le cave di arenaria che servirono per la costruzione della città di Tharros. Il ritrovamento di laterizi e ceramiche inoltre testimoniano la successiva presenza dei romani. In seguito, a causa dei pericoli delle incursioni via mare dei saraceni, l’area fu spopolata. Nei primi del 900 venne acquistata da Don Efisio Carta – famoso personaggio oristanese, proprietario degli stagni e delle peschiere di Cabras – per farne la sua riserva di caccia. E’ per questo motivo che, per oltre 50 anni, Seu è rimasta intatta rispetto ad altre zone del Sinis. In seguito, dopo la scomparsa del proprietario (sequestrato proprio in queste terre), diventò un’oasi naturalistica gestita dal WWF. Dal 1997 le coste e il mare di Seu rientrano nell’Area Marina Protetta “Penisola del Sinis-Isola di Mal di Ventre”.

IL PERCORSO – Una delle due entrate principali di Seu – o Turr’e Seu, come la chiamano molti oristanesi, per via dell’omonima torre – è quella che si raggiunge dalla strada per Maimoni. Si supera un muretto costeggiato da un boschetto di eucalipti e dopo qualche metro si arriva a un altro cancello. Da lì parte un sentiero che attraversa la macchia mediterranea fino alla torre. A metà di questo sentiero si trova l’unica zona d’ombra di tutta l’oasi, un boschetto di pini d’Aleppo dove sostare e magari fare un pic-nic. Superata quest’area si apre la fittissima distesa di macchia mediterranea che arriva fino al mare.

Ciò che colpisce subito lo sguardo di chi visita Seu è senza dubbio il mare verde della fitta e bassa vegetazione, ricordo di come un tempo doveva essere tutto il Sinis. L’oasi racchiude e conserva tutte le caratteristiche perdute nella regione quando venne disboscata e adibita a terreno agricolo. Essendo stata una riserva di caccia privata, Seu si è conservata intatta, con tutta la sua varietà e biodiversità. Sono presenti rosmarino, lentisco, elicriso, cisto, fillirea, palma nana e finocchio marino. Ma anche vari fiori, come orchidee, iris, speronelle, pancrazio marittimo e romulee.

Trattandosi di un ambiente molto vario la parte faunistica non è meno interessante di quella floristica: pernici sarde, gheppi, falchi pellegrini e piccioni selvatici, ma sopratutto piccoli uccelli di macchia, questo solo per quanto riguarda i volatili. Ma nell’oasi sono presenti anche conigli selvatici, volpi, molte lucertole e diverse specie di tartarughe. E’ usanza, tra gli oristanesi, liberare qui le tartarughe domestiche, ed è possibile che questo abbia contribuito all’aumento degli esemplari.

La torre che sovrasta il promontorio di Seu è una torre di avvistamento costruita dagli spagnoli alla fine del 1500. Restaurata nel 1700, venne utilizzata fino al 1867, quando il Re Vittorio Emanuele II decretò la fine dell’intero sistema di difesa delle torri costiere. Dalla torre si può ammirare il panorama di San Giovanni fino a capo San Marco, molto bello soprattutto la mattina presto e al tramonto, quando la luce è radente e l’intera zona si colora di tonalità calde.

Il sentiero che dalla torre va verso sinistra porta all’altra entrata principale dell’Oasi, quella sul lato di Funtana Meiga. Proseguendo a destra invece si può continuare lungo la costa, verso il relitto spiaggiato e Punta Maimoni. Qui, dove la macchia mediterranea confina con la spiaggia, può capitare di vedere le tartarughe, e quasi sicuramente molti rifiuti – principalmente plastica – in gran parte portati dal mare.

Su una delle spiagge dell’oasi è spiaggiata la cabina di un rimorchiatore. E’ il relitto di una vecchia imbarcazione a vapore in ferro. A circa 200 metri dalla riva sporge dall’acqua una strana punta, dove a volte può capitare di vedere poggiati gabbiani o cormorani. Si tratta di un altro pezzo del relitto – uno spezzone della poppa – visitato dagli appassionati di immersioni quando le condizioni del mare lo consentono.

Il sentiero costiero prosegue, tra calette e spiagge di quarzo, passando per l’isola di Caogheddas fino a Punta Maimoni, dove inizia la grande spiaggia di Maimoni. Questa è una delle zone migliori per chi cerca una spiaggia grande e non affollata, anzi piuttosto appartata, principalmente perché è una zona raggiungibile solo a piedi. Non a caso è anche un luogo frequentato dagli appassionati di nudismo, come ricorda una scritta su un masso (“Nudist beach”, con tanto di freccia). Qui, quando il vento dà tregua, l’acqua è limpida e cristallina e le zone rocciose intorno alla punta consentono attività di snorkeling.

La spiaggia è inizialmente mista, bianca e dorata, a volte con venature rosa, anche nei fondali. Man mano che si avanza verso nord prevale quella grossa e bianca dei sassolini di quarzo, come quelle più famose di Is Aruttas e Mari Ermi. Il fondale è alto e non è raro che sia attraversato da correnti. Al momento non è presente il servizio di salvataggio, per cui, se si hanno bambini, si raccomanda attenzione, soprattutto in caso di vento.

Come testimoniano le fotografie seguenti, scattate qualche anno fa, può capitare che queste spiagge diventino blu. Non è un effetto speciale: si tratta di migliaia di esemplari spiaggiati di Velella velella, comunemente note come Barchette di San Pietro. Non sono urticanti, per cui chi vuole fare il bagno può farlo comunque. L’unico inconveniente può essere l’odore, dato che una volta morte si seccano al sole diffondendo il tipico odore di decomposizione. La presenza di questi curiosi animali, oltre a sorprendere e in un certo senso abbellire la spiaggia con questo insolito blu, è comunque una buona notizia, dato che è l’indicatore della pulizia delle acque di questa bellissima zona del Sinis.

(foto aerea di Franco Siddu)

1 commento

  1. L’osso di seu , punta maimoni e le spiagge intorno sono un incanto. Non capisco perché non ci sia un servizio del comune che porta via la spazzatura portata dal mare ma molta lasciata da incivili visitatori, è uno spettacolo che offende la bellezza di questo posto incantevole. Credo che il comune di Cabras dovrebbe fare qualcosa . Grazie

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