Hugh Masekela & Band – Oristano, Dromos Festival 2 agosto 2012

Non sono l’unico, ne sono sicuro, che ieri sera, appena tornato a casa dopo il trascinante concerto di Hugh Masekela nel giardino del seminario di Oristano, si è precipitato su Wikipedia per controllare l’età di questo musicista.

Uno che nel 1956 fondava la prima orchestra jazz del Sudafrica e qualche anno dopo, con i Manhattan Brothers, partecipava al musical King Kong con una certa Miriam Makeba – sua futura moglie – e, prima ancora che cominciassero i favolosi anni 60, aveva fondato il primo gruppo sudafricano che incise un disco jazz. Poi l’apartheid, i massacri, la decisione di esiliare, il viaggio a Londra, e quindi gli Stati Uniti e l’incontro con gente del calibro di Louis Armstrong, Harry Belafonte e Miles Davis. Seguono due decenni d’oro, tra numerose collaborazioni (anche con Paul Simon e Bob Marley), il matrimonio con la Makeba e un crescente successo di critica e pubblico che lo consacra a “leggenda vivente”.

E ieri sera questa leggenda era lì: a cantare, ballare, sudare e contorcersi sul palco del Dromos Festival, nel suggestivo scenario del seminario di Oristano, per l’occasione splendidamente illuminato di giallo e rosa con palme verdi e blu tanto belle da sembrare finte. Una cornice perfetta per le note colorate e travolgenti di Hugh Masekela e la sua band di cinque componenti: Francis Manneh Fuster alle percussioni, Fana Zulu al basso, Cameron Ward alla chitarra elettrica, Randal Skippers alle tastiere e Lee-Roy Sauls alla batteria.

Oltre un’ora e mezza di spettacolo completo: il filicorno di Masekela, le note irresistibili dell’afro-jazz, i divertenti intermezzi in cui l’artista scherzava con la band o interagiva con il pubblico trascinandolo sul “lato selvaggio” dell’Africa nera, spiegando che questa era l’occasione, anche per chi non aveva mai urlato, di lasciarsi andare a grida selvagge e liberatorie. E gli oristanesi non si sono tirati indietro nemmeno di fronte a imbarazzanti e difficilmente replicabili acuti. Ma il carisma e l’energia contagiosa di Masekela era tutta nei racconti, quelli divertenti sulla sua biografia immaginaria, sui matrimoni africani e ovviamente sulla sua terra d’origine, il Sudafrica. Uno dei momenti più emozionanti del concerto è stato senza dubbio l’introduzione parlata di Stimela (Coal Train), uno dei suoi pezzi più celebri, dedicato ai lavoratori delle miniere di Johannesburg.

Non è un pezzo qualunque: rappresenta il ritorno in Africa di Masekela, dove collabora con artisti come Fela Kuti e realizza alcuni dei suoi album più belli e innovativi. Ma soprattutto è un pezzo politico, perché il jazz, per Masekela come per molti altri artisti africani, non era un semplice passatempo, ma qualcosa di molto di più. Era la rivincita dei neri sull’establishment bianco, la dimostrazione che l’eccellenza nera, schiavizzata, discriminata e ghettizzata, grazie alla musica trionfava sull’oppressione.

Stimela è così: ha un incedere lento ed evocativo (“There is a train…”), malinconico e leggermente rabbioso, grazie a quella voce che sa essere roca, potente, infantile e quasi femminile, oppure drammatica e autorevole allo stesso tempo. Stimela è uno di quei pezzi che si capiscono anche senza per forza dover capire esattamente cosa dice, con Masekela che canta e imita il treno sia con i suoni e rumori, sia con i movimenti della locomotiva che avanza e porta gli operai da tutta l’Africa alle miniere di Johannesburg.

Il concerto ha poi ripreso con l’allegria travolgente e quasi funk dell’inizio, costringendo anche gli spettatori più rigidi prima a ballare sulla sedia e poi ad alzarsi in piedi, su preciso ordine di Masekela, per seguire i ritmi irresistibili, accompagnati da urletti, smorfie, balli e mosse da contorsionista del grande e carismatico musicista. Fino al bis finale, applauditissimo.

Questa sera il festival si sposta a Nurachi per il concerto, alle ore 22, di Frente Cumbiero & Quantic. Unica data italiana. Ingresso 8 euro.

Testo M.Pinna, foto B.Atzori

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